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La vita è bella

 

di Roberto Benigni, con Giustino Durano, Giuliana Lojodice, Lydia Alfonsi – commedia/drammatico - Italia - 1998 – 131'

Il film è diviso in due parti, tutto sommato slegate tra loro e delle quali la prima (fino all’arrivo nel campo di concentramento) appare sostanzialmente inutile e certamente troppo lunga (ben metà della durata dell’intera pellicola). L’originalità interviene nella seconda parte, in cui Benigni si libera, finalmente, degli stereotipi, macchiette e volgarità sempre presenti nelle prove precedenti e affronta in modo del tutto atipico il dramma dell’Olocausto, che viene mostrato ed “edulcorato” dal padre Guido per mascherarne, almeno in parte, l’orrore agli occhi del figlioletto Giosuè. Benigni riesce accortamente, in questa seconda parte del film, a toccare le corde più profonde della sensibilità umana, cercando di mantenersi in bilico tra il dramma e la speranza, e utilizzando mirabilmente gli occhi del bambino come mezzo di comunicazione con lo spettatore. Peccato, come dicevamo, per la presenza di una premessa troppo lunga, alcuni personaggi poco approfonditi, una pessima attrice (Nicoletta Braschi, che impersona Dora, moglie di Guido: un’attrice che – sia lecito dirlo – non fa certo onore al cinema italiano) e la recitazione di Benigni, ancora una volta troppo forzata e talvolta sopra le righe, con buona pace dell’Oscar vinto. Però… c’è un però. Il gioco di Benigni, come accennato, può infastidire. Molti si sono scandalizzati perché, obiettivamente, l’intera operazione appare piuttosto artificiosa, e la crudezza del lager nazista è decisamente mitigata: per riuscire nel proprio intento e far “digerire” al piccolo Giosuè le torture del campo, il regista ha dovuto indorare la pillola, ricorrendo ad artifici poco verosimili e finendo per confezionare un film sostanzialmente di fantasia che, paradossalmente, cerca di conquistare consensi anche sul piano della storicità e della verosimiglianza, per proporre un modo positivo di affrontare la tragedia. Può sembrare che ne esca, insomma, una sdrammatizzazione dell’Olocausto che ben difficilmente, soprattutto nell’ambiente culturale italiano, sarebbe stata perdonata a chi non si fosse chiamato Roberto Benigni. E poi attenzione: il gioco di vedere il tutto aiutati dal bambino nel lager può risultare poco sopportabile a una sensibilità delicata, come per esempio a una madre di famiglia o a chi – di persona o tramite famigliari - abbia sperimentato le atrocità del lager. E, a questi occhi, l’intero film apparirà nel migliore dei casi stucchevole e frutto di un’astuta operazione di marketing e, nel peggiore, una dissacrazione imperdonabile. (Giovanni De Marchi) 

 

 

   

   

   

   

Violenza
Tensione
Umorismo
Dialoghi
Volgari
Nudità
Sesso esplicito
Comportam.
diseducativi
 Possibilità
discussione
Età consigliata

violenza * tensione * umorismo * dialoghi volgari * nudità/sesso esplicito - comportamenti diseducativi - possibilità discussione *** età consigliata 16 VOTO 5