A.I. - Intelligenza Artificiale

titolo originale: A.I. Artificial Intelligence

di Steven Spielberg, con Haley Joel Osment, Jude Law, William Hurt - fantascienza - USA- 2001 - 140’

Visto da lui. In un futuro imprecisato vengono costruiti robot umani pressoché perfetti: tutto fila liscio finché uno scienziato non assembla un robot bambino in grado di amare e affezionarsi ai genitori. È l’avvio per una vera e propria parabola sulla vita e l’amore, nonché sui limiti della scienza nel momento in cui si incontra/scontra con l’uomo, in un moderno Pinocchio cui il film si ispira dichiaratamente. Ma diciamo subito che il messaggio di fondo, se e dove c’è, risulta piuttosto ambiguo e bivalente (e, spiace dirlo, più vicino al sopravvalutato Kubrick che non all’autentico Spielberg); la storia è raccontata in modo troppo lento e con almeno mezz’ora (e un finale) di troppo (anche qui, siamo ben lontani dal vero autore di Duel, Indiana Jones & C.); l’atmosfera è sì immaginifica ma un tantino onirica; alcuni dialoghi e il clima di fondo contraddicono l’ambientazione favolistica e rendono la pellicola assolutamente da evitare per i bambini. Come in quasi tutti i film di Spielberg, quel che forse più colpisce è la sua abilità nel mostrare i bambini, dipingendone i sentimenti come solo Truffaut sapeva fare: e il giovane Osment (Il sesto senso), assolutamente straordinario, lo aiuta non poco. (Giovanni De Marchi)


Visto da lei. Questa volta concordo sulla valutazione che precede, poiché giudico il film lungo, artefatto e nebuloso nella scelta tra realtà e finzione. Aggiungo che l’ambiguità tra umano e non umano del simil-ragazzino protagonista rende molto sgradevole la relazione affettiva con la pseudo-madre, che passa tutto il tempo in crisi, prima per un dramma che ha coinvolto il suo figlio vero, e poi per la natura del rapporto che la porta ad affezionarsi al figlio finto. È vero che il film obbliga, cosa lodevole, ad interrogarsi su quale sia il confine tra l’intelligenza personale e quella artificiale, ma viene il dubbio che gli autori stessi non avessero troppo chiara la differenza invalicabile tra le due. Dunque, non convincono né la storia, né il modo in cui è raccontata, soprattutto perché qualche caduta nella volgarità e certi punti troppo fracassoni sono alternati a scene che vorrebbero essere poetiche, mentre sono spesso noiose. Bravo il protagonista e notevolissimi gli effetti speciali. Frase impressionante, per gli eventi del settembre 2001: “La fine del mondo è a Manhattan”. (Paola Premoli)


violenza * tensione - umorismo - dialoghi volgari * nudità/sesso esplicito - comportamenti diseducativi ** possibilità discussione ** età consigliata 16 VOTO 5,5 VOTO 5.5